Per amare Stranger Things basterebbe la sigla, come suggerisce un advertising di Netflix.
E invece il contenuto sprigionato dalle inconfondibili sonorità dei synth anni ’80, capaci di simboleggiare da sole un intero decennio, rivela in questa seconda stagione il cuore più autentico di un prodotto d’intrattenimento che è riuscito ad emanciparsi dalla volontà di suscitare una certa nostalgia, fino a riscoprirsi d’improvviso maturo e cresciuto.
L’esordio della serie prodotta e diretta dagli ormai celeberrimi fratelli Duffer, Matt e Ross, rappresentò infatti un vero e proprio fulmine a ciel sereno nel sempre sovrabbondante mondo delle serie.
Introdotta il 15 luglio 2016 sulle piattaforme di Netflix, il colosso americano che con il suo streaming sta rivoluzionando la fruizione dell’entertainment visivo, Stranger Things si ritrovò catapultata al centro di un successo mediatico del tutto imprevedibile.
Da piccola produzione di belle speranze e budget modesto, insomma, a vero e proprio cult.
Dopo oltre un anno di attesa la seconda stagione è riapprodata su Netflix con tutto l’hype, il fremito e le aspettative che un successo così universale era logico generasse.
Gran parte degli avvolgenti cliché che hanno rese la serie riconoscibilissima ad ogni latitudine, così come la cura dei dettagli nel ricreare un certo tipo di atmosfera, sono rimasti immutati.
Sono, infatti, proprio questi elementi a garantire alla trama un senso di continuità pressoché infallibile con la prima stagione: la piccola cittadina di Hawkins, i misteriosi esperimenti governativi su bambini dai poteri speciali come Undici, il Sottosopra (vero e proprio universo parallelo abitato dallo spaventoso Mostro Ombra) e il gruppo di piccoli amici in bicicletta che abbiamo imparato ad amare.
Ad un sequel si chiede quantomeno di replicare il successo della stagione precedente, se non addirittura di superarlo.
Un compito gravoso e non semplice, ma che i produttori e il cast di Stranger Things hanno saputo portare a buon fine nel migliore dei modi.
Se la trama è ricca e riesce a far progredire la narrazione in modo efficacissimo, ad impressionare maggiormente sono tuttavia le evoluzioni individuali dei personaggi sotto il profilo emotivo.
Emergono ora le preziose complessità specifiche di ogni personaggio, mediamente agli albori dell’adolescenza, e dunque al centro di una inevitabile trasformazione e crescita psicologica che rendono il presente e il futuro di Stranger Things più appassionanti e coinvolgenti che mai.
L’apoteosi di questo processo caratteriale è senza dubbio incarnato da Eleven, Undici nella versione italiana, la ragazzina dai superpoteri che dal ruolo di comprimaria della stagione precedente si è ora ritagliata un ruolo da protagonista indiscussa.
Non è un caso che la controversa e dibattutissima puntata numero 7, che segna una vera e proprio pausa all’interno della sceneggiatura, sia totalmente incentrata sulla sua figura.
È Undici (interpretata dalla bravissima Millie Bobby Brown) che trascinerà lo spettatore per la prima volta all’infuori di Hawkins, la cittadina dell’Indiana, alla ricerca della sorella scomparsa – e quindi delle sue stesse origini.
Un viaggio imprescindibile per comprendere ciò che verrà.
La vera sfida della terza stagione, infatti, sarà quella di tenere legato in modo coerente il nucleo di ragazzini in pietà età adolescenziale e alla ricerca del proprio posto in un mondo costellato di ombre e misteri.
A confermare questo trend, d’altronde, sono stati gli stessi fratelli Duffer in un’intervista rilasciata al sito americano Indiewire, dove hanno confermato che il futuro della serie passerà sempre più attraverso un’analisi psicologica e introspettiva dei vari protagonisti.
Francesca Caon