La recente scoperta dentro un ritratto di Vittoria Colonna del 1525 dell’autoritratto-caricatura di Michelangelo sotto forma di una figuretta di un uomo piegato in avanti intento a dipingere non vuole significare, come riportato dalla stampa che ha ripreso la notizia, una semplice autorappresentazione caricaturale come l’artista aveva già fatto tra il 1509 ed il 1510, a margine del suo sonetto indirizzato a Giovanni da Pistoia, ma assume una più marcata valenza di autocitazione. Il disvelamento del suo nome e della sua funzione attraverso un complesso procedimento nominalistico in cifra era già stato utilizzato dal giovane maestro nel lontano 1496, in un’opera di collaborazione con Filippino Lippi. Oltre all’atletico giovane dalla veste rossa, portatore di alcuni evidenti segni di autografia, è nella cornice antica in primo piano che si rileva un’iscrizione autografa nella forma geroglifica dove due forme rimandano chiaramente a M(ichelangelus) e a B(uonarrotus), mentre la silhouette di un uomo che dipinge sta per Pinxit.
Similmente, trent’anni dopo, nel ritratto della Marchesa di Pescara ritroviamo le stesse iniziali “M” e “B” celate nelle volute delle pieghe dell’abito e la sagoma della figura nell’atto di dipingere assume la stessa valenza ideografica di pittore = Pinxit.
Ci sembra opportuno formulare delle precisazioni a proposito della scoperta. Tra i numerosi segni grafici che compongono il braccio destro e l’addome della nobildonna compare una snella figuretta di un uomo piegato in avanti intento a disegnare, evidente sagoma dello stesso Michelangelo.
Deivis de Campo ed i ricercatori della Federal University of Health Sciences of Porto Alegre sostengono che questo sia il secondo caso di “caricatura” dopo quello più noto che compare in margine al foglio manoscritto del sonetto che Michelangelo indirizza a Giovanni da Pistoia tra il 1509 ed il 1510 dove l’artista lamenta le penose condizioni di lavoro e le attitudini estreme cui lo costringe la pittura ad affresco della Volta Sistina: “… a forza ‘l ventre appicca sotto ‘l mento … ‘l petto fo d’arpia… E’ lombi entrati mi son’ nella peccia, e fo del cul per contrapeso groppa…”. Quest’ultima espressione pittoresca descrive meglio la figuretta nel disegno per Vittoria Colonna piuttosto che la slanciata sagoma del sonetto più somigliante alle due rarissime silhouette poste sul bordo dell’Arca nella scena del Diluvio Universale nella Volta Sistina. La figura-caricatura di cui parla l’articolo rappresenta ben inteso l’artista ma in una forma idealizzata e di autorappresentazione celebrativa, non si può definire certo col termine di “autoritratto” poiché non vi compaiono quei tratti identificativi dell’artista: naso rotto, turbante e pizzetto a noi noti dai suoi ritratti, come quello del Bugiardini, ben riassunti dal giovane Buonarroti nella figuretta della “Predica di San Giovanni Battista” attribuita a Michelangelo e Francesco Granacci, conservata presso il Metropolitan Museum di New York ed eseguita nei primi anni del fecondo soggiorno fiorentino tra il 1501-05 che videro la realizzazione del David e del cartone per la Battaglia di Cascina. Un’inflessibile scelta nel senso dell’originalità porta spesso l’artista a citare solo se stesso tramite l’apposizione di vere e proprie firme d’autografia riconducenti al suo nome o al suo casato desumibili da “B” o “M” maiuscole e minuscole o da elementi simbolici che, per il loro nome alludono alle iniziali bo oppure bu del cognome Bonarroti o Buonarroti: la borchia (principalissima), il boccale, la boccia, la borsa, il bottone, il boccolo, il bocciolo, il buco, la buccia, la bulla (= sfera), il bucranio. Le frequentissime M capitali, per Michelangelo, si desumono da modanature (tra gli ovoli), da calici di fiori di melograno, disposizioni delle dita e profili di foglie ecc., ed un florilegio di m minuscole si insinua nelle volute di nastri pronte a trasformarsi in B maiuscole se ruotate di 90 gradi. Per non parlare del vero e proprio “tappeto” di M maiuscole che l’incrocio delle pennellate sull’affresco, i segni della gradina sul marmo, ed i tratti grafici della matita sul foglio venivano a configurare.
A volte l’artista perveniva ad accostamenti e compresenze di entrambi i segnali d’autografia spesso reciprocamente integrabili in un rebus o cifra. La ricerca delle firme del maestro si può spingere a ritroso fino alle opere giovanili di collaborazione come nel caso dell’Adorazione dei magi di Filippino Lippi del 1496 per San Donato oggi agli Uffizi in cui la sua partecipazione estremamente incisiva nell’insieme si concentra nella figura dell’atletico giovane inginocchiato sul masso alla destra della Sacra famiglia, la cui muscolatura e costellata di M e le cui mani indicano una M capitale vistosamente tracciata sulla roccia e un grossa Borchia ne ferma la veste rossa. Nella “scheggia” di cornice antica in primo piano rintracciamo il solo caso ad oggi noto di una iscrizione autografa nella forma “geroglifica” preferita dal Lippi e riconducibile decifrando la M(ichelangelus) e la B(onarrotus) e il Pinxit ottenuto interpretando la figuretta-ideogramma di un uomo seduto che dipinge. Trent’anni dopo, in un momento di riflessione e di ripiegamento personale di cui non possiamo ricostruire la motivazione, questo incunabolo giovanile riaffiora nel disegno di Vittoria Colonna dove le pieghe della veste sull’avambraccio destro della nobildonna assumono la forma di svolazzi, tratti di matita, volute, che configurano un B(onarrotus) e ruotate di 90 gradi in senso orario si leggono come una m rotondeggiante minuscola (Michelangelus). Con lo stesso procedimento analogico possiamo attribuire alla silhouette della figurina piegata nell’atto di dipingere–disegnare la valenza ideografica di pittore = Pinxit.
Prof. Marco Proietti