La leggenda di Romolo aleggia intorno al sepolcro ritrovato

 

La riscoperta presso il Foro di un misterioso ipogeo con sarcofago e altare arcaici, aggiunge un ulteriore heroon a quelli tradizionalmente collegati al culto del mitico fondatore di Roma.

 

Arch. Marco Proietti Ph. D.

 

Venerdi 21 febbraio alle ore 11,00, in una radiosa mattinata quasi primaverile, la Direttrice del Parco archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo, ha presentato ad un numeroso pubblico di addetti stampa italiani e stranieri una tra le novità dagli scavi  presso la Curia Comitium.

Tra il 1930 ed il 1939 importanti lavori di recupero e di liberazione delle strutture della Curia Romana di tarda età imperiale condussero alla demolizione della chiesa di Sant’Adriano sorta nel VII secolo su di essa.

Alfonso Bartoli, realizzando la semplice scala di accesso che dava adito allo squadrato edificio l’aveva sovrapposta a quanto scavato nel 1898 dall’archeologo Giacomo Boni, che in una importante campagna di scavi nel Foro repubblicano aveva riportato alla luce il Lapis Niger, il Comitium ed il piccolo ipogeo oggi ritrovato.

Dopo 120 anni, nel novembre 2019, un cantiere di scavo archeologico è stato aperto per rintracciare filologicamente l’antico accesso e portico alla Curia Iulia che aveva funzionato per quasi tre secoli prima dell’incendio e della ricostruzione di quella attuale dovuta a Diocleziano dopo il 283.

Nel corso dello scavo sotto la demolita scala del Bartoli, a pochi metri dal Lapis Nigere nell’ambito del “cerchio” del Comitium,uno stretto cunicolo ci ha permesso di raggiungere, quella piccola camera sotterranea, che il Boni aveva già ispezionato a fine Ottocento e dentro la quale  “trovasi una cassa a vasca rettangolare in tufo, lunga m. 1,40, larga m. 0,70, alta m. 0,77 di fronte alla quale sorge un tronco di cilindro di tufo del diametro di m. 0,75”, cosi egli descriveva ciò che noi vediamo oggi.

Il sarcofago, scavato nel tufo del Campidoglio, dovrebbe risalire al VI secolo a.C. e l’altro elemento cilindrico costituirebbe probabilmente i resti di un altare. Seguendo la sua descrizione “La cassa di tufo conteneva ciottoli, cocci di vasi grossolani, frammenti di vasellame campano, una certa quantità di valve di conchiglie e un pezzetto di intonaco colorito di rosso”. Cento anni dopo questo rinvenimento del Boni a cui non si era data troppa importanza tanto da perderne la memoria e l’ubicazione, Paolo Carafa, nel suo studio del 1998: “il Comizio di Roma dalle origini all’età di Augusto”, citava il rinvenimento della cassa e del suo contenuto del 1898, ma solo con l’apertura del cantiere di scavo archeologico del 2019 e con lo studio dei documenti del Boni e la sua preziosissima sezione di scavo da parte dell’archeologa Patrizia Fortini si è compresa la rilevanza del ritrovamento. Ci si è altresì resoconto dell’importanza dell’ubicazione poiché’ esso si trovava proprio presso il Comizio luogo di assemblea fortemente simbolico della politica di Roma e soprattutto la sua prossimità con la sede di culti antichissimi come testimonia la stele arcaica conosciuta col nome diLapis Niger.

Essa, secondo lo scrittore latino, Festo, segnava un luogo funesto collegato con la morte del mitico Romolo o forse con quella di Osto Ostilio, nonno di Tullio Ostilio, o anche del leggendario Faustolo il pastore che raccolse i gemelli Romolo e Remo. L’unica parte ben decifrata  della sua iscrizione “Chiunque violerà questo luogo sia consacrato agli dei infernali”, rappresentava una maledizione rivolta ad un eventuale profanatore e richiamata dal colore niger – nero della lastra che la ricopriva. L’ipogeo riscoperto in questi giorni si trova perfettamente incluso nell’ipotetico cerchio del Comitium,in prossimità dei Rostri, la tribuna degli oratori e ad una ventina di metri in linea d’aria dal Lapis Nigered è questo il luogo in cui alcuni commentatori di Orazio, asseriscono, riportando una affermazione di Varrone, che Romolo sarebbe stato sepolto, proprio dietro i Rostri, (post Rostra)più o meno nello stesso punto in cui è ubicata la camera ipogea di cui parliamo. Si tratterebbe quindi di quella che alcuni autori antichi consideravano la Tomba di Romolo o per meglio dire il suo cenotafio, visto che altri storici come Plutarco riferiscono che il suo corpo sarebbe stato smembrato e disperso dopo il suo assassinio o addirittura come suggerisce Orazio ed anche Livio il fondatore di Roma sarebbe stato assunto in cielo nel cocchio del dio Marte col nome di Quirino.

Gli storici latini, seguivano una consuetudine greca quando assegnavano trentacinque anni ad ogni re per retrodatare la fondazione della città a 245 anni prima della cacciata dell’ultimo re e l’istaurazione della repubblica nel 508 a.C.; essi collocavano arbitrariamente la fondazione dell’Urbe nell’anno 753 a.C. e la morte del suo mitico fondatore intorno al 718 a.C. Questa data però è incompatibile con la datazione del sarcofago arcaico, realizzato all’epoca dei Rostra alla fine del VI secolo a.C., l’ipogeo ed il suo contenuto quindi, come pure il Lapis Niger,non sarebbero altro che un Heroon,o sacello dedicato ad un mitico fondatore della città, divinizzato, un Romolo, nome eponimo da Roma e non viceversa, “inventato” a bella posta dagli storici latini dopo il III a.C. per dare leggendari e bellicosi natali ad una città-stato che si avviava a diventare la più importante potenza del mediterraneo.

Ciò non toglie che il sarcofago potesse contenere qualche sepoltura importante o sacrale di uno sconosciuto Repastore”, capo di una di queste primitive tribù latine che si stavano federando ed abitavano i colli sovrastanti il Foro, giù in basso in quella zona, chiamata Velia. Era questa una sorta di palude e fu definitivamente prosciugata solo con una canalizzazione sotterranea che rifluiva nella Cloaca Maxima, realizzata secondo la tradizione dal primo re etrusco Tarquinio Prisco alla fine del VI secolo;  sulle sue pendici occidentali fu portata alla luce nel 1902 una necropoli  arcaica  dove i defunti erano sepolti sia per inumazione che per incinerazione. Questo sepulcretumera plausibilmente collegato al vicino Volcanalsantuario di Vulcano, creato secondo la tradizione da Servio Tullio, dove si sarebbero incontrati ed accordati, dopo il ratto delle Sabine, Romolo e Tito Tazio, luogo che  dal loro incontro  – cum ire–  sarebbe diventato il Comitium.

Anche questo Volcanal sarebbe stato successivamente identificato con l’heroondel leggendario Romolo ed anch’esso come l’ipogeo riscoperto era posto nel Foro, cioè proprio nel centro politico della città riprendendo così la consuetudine greca di porre un monumento o una tomba simbolica dedicata al mitico fondatore eponimo della città nel cuore dell’agorà, il Foro dei greci.

Ma come se tutto ciò non bastasse per confondere i frettolosi turisti, è presente, sempre nel Foro, il cosiddetto Tempio o heroon di Romolo, non il mitico gemello ma il figlio dell’imperatore Massenzio rivale di Costantino.

Assistiamo cosi ad un fenomeno per lo meno curioso quello cioè che vede l’epoca attuale, decisamente post ideologica ed individualista, segnata dal tramonto di miti decennali, ricercare affannosamente la tomba di questa figura leggendaria ed assistere al concentrarsi della stampa e delle televisioni di tutto il mondo attorno a questo Umbilicus Mundi per scrutare e fotografare un sarcofago vuoto quasi fosse una venerata reliquia.

 

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